Il diritto del bambino alla noia e alla libertà

(foto trovata in internet di autore a me ignoto)
Dalla noia del pastore è nato il flauto,
da quella dei poeti la poesia,
da quella dei filosofi la filosofia…

C’è sempre il rischio di risultare banali nel parlare di questioni che dovrebbero essere ovvie, se non fosse che ovvie non sono e allora occorre che qualcuno lo faccia.
Se mi domandassero quale diritto vorrei aggiungere alle varie carte per i diritti dell’infanzia, io risponderei senz’altro il diritto alla noia che è un tutt’uno con il diritto alla libertà. Libertà di non fare niente, di perdere tempo, di annoiarsi, appunto.
I nostri bambini hanno oramai perso questo diritto da tempo e la colpa, perché di una terribile colpa si tratta, è tutta nostra.
Quando incontro i bambini spesso mi chiedono come mi viene l’ispirazione per scrivere le mie storie, o come sono diventato un narratore, e ancora come faccio a fare così tante cose, scrivere libri così diversi, spaziare dal cofanetto creativo per i più piccoli al romanzo, intagliare il legno, costruire trottole e burattini, pensare i laboratori, e così via.
La mia risposta, che gli sorprende sempre e, non di rado, li lascia interdetti, è sempre la stessa: “Mi annoio molto e sono sempre stato un bambino che si annoiava molto”. Non ho mai fatto un corso da piccolo, né un campo estivo, nessuno stage, niente scout, niente piscina o parrocchia, giocavamo per strada.
Di fronte alla parola noia sbalordiscono. La noia, che spesso va a braccetto con l’attesa, non è più un concetto che riguarda la nostra quotidianità. Per annoiarsi bisogna non aver nulla da fare, e non aver nulla da fare è un delitto.
Dover fare un viaggio in treno senza smartphone, e senza un buon libro, è impensabile e noioso. Ci espone a quella esperienza fondamentale che ci ha connotato per secoli come esseri umani e che consiste nello stare da soli con se stessi e i propri pensieri. Tutti gli uomini, fossero essi pastori, filosofi, marinai, agricoltori, artisti, monaci, o chissà cos’altro, per secoli e secoli hanno sperimentato quotidianamente questa condizione per gran parte delle loro giornate.
Se io penso alla mia vita e alla percezione che ho della sua durata posso dire che la mia infanzia è durata interi millenni, e lunghissima mi è parsa anche l’adolescenza, mentre poi, una volta sposato, dopo la nascita dei bambini, quando sono cresciuti gli impegni e le cose di cui occuparsi, ed è stato più difficile perdere tempo, annoiarsi, la mia vita ha iniziato a correre e gli anni a passare veloci come mesi.
Un’estate adesso vola via veloce, non fai in tempo a mettere la maglia di cotone e riporre quella di lana nell’armadio che è di nuovo Settembre. Si mangia di corsa, si vive di corsa, fra il lavoro e mille cose da fare e questo fa volare i giorni. Quando ero piccolo, invece, un’estate durava tre secoli e le giornate erano interminabili. Così ogni giorno c’era da inventarsi qualcosa, qualcosa di inutile, un gioco, una storia, una fantasia, che ci permettesse di occupare quel tempo di libertà. Quando un gruppo di bambini in una piazza di paese si annoiano, perché senza animatori e smartphone ci si può annoiare anche in gruppo, occorre farsi venire un’idea, inventarsi mondi, costruire una fionda, organizzare battaglie, combinare qualche guaio, rompere un vetro, oppure fare una vendita di giornalini, creare una società segreta con un alfabeto segreto, fare la guerra con quelli della piazza vicina, allenarsi per la partita di calcio del secolo, nascondere un tesoro, costruire un morto sul letto con gli abiti dello zio scapolo di Stefano, scovare un vecchio paio di pattino del papà di Federico per sbucciarsi le ginocchia, andare a rubare delle ciliegie, e così via. Spesso non ci bastavano i soliti giochi: nascondino, chiappino, pallone, e così occorreva inventarsene altri, senza istruzioni per l’uso. In sostanza a noi era richiesto solo di essere bambini, stare fuori dai piedi, non superare determinati e ideali confini geografici, che mutavano con l’età, esistere. Solo oggi mi rendo conto che quella che ai nostri occhi può apparire la sciatta noncuranza di genitori impegnati a vivere la loro vita era alla base della nostra libertà di correre, salire su un albero, giocare, immaginare, vivere il mondo e perfino di annoiarsi.
Un tempo potevamo anche litigare fra noi, picchiarsi qualche volta, ma oggi neanche questo si può più fare. Se accade gli adulti ci mettono subito il naso a difesa dei loro pupilli. Quanto sono importanti e preziosi questi nostri figli, quanto tutt’uno con le nostre vite e le nostre aspirazioni. Quanto sono impegnati a diventare questo e quello e a rincorrere successo, fama, e ricchezza urlati a gran voce dalla tv da calciatori, cuochi, musicisti e ballerini. Quanto è organizzata e piena la loro vita. Somigliano a dei piccoli manager che passano da un appuntamento all’altro, da un impegno all’altro, spesso portati da dei nonni tassisti da un luogo protetto, dove si impara o si gioca con determinate inappellabili regole, a un altro luogo protetto: calcio, poi pianoforte o danza, la dottrina, il compleanno dell’amico, il campo estivo organizzato. Non si annoiano mai, se accade piegano la testa sullo smartphone e fanno un videogame. Non escono mai da soli, troppo pericoloso, non vedete cosa accade in televisione? Se succede sono sempre rintracciabili con tanto di app o di chiamata della mamma.
A questo punto del mio iperbolico e provocatorio ragionamento mi sorge una domanda che mi procura non poca angoscia. Ma se la loro vita è già così impegnata da somigliare alle nostre, non sarà per caso che anche la loro percezione dello scorrere del tempo sia già simile alle nostre?
Santo cielo, mi tremano le gambe al solo pensiero, perché se così fosse, se un’estate dei nostri bambini durasse quanto una nostra estate, allora noi ci staremmo macchiando di una colpa per la quale non esiste possibilità di espiazione: quella di aver accorciato di due millenni le loro vite, di averle rese simili alle nostre vite di adulti e averle fatte durare quanto un battito d’ali di farfalla.
I nostri bambini hanno bisogno di perdere tempo per guadagnarlo, di inutile, di fare cose che si inventano loro e non servono a nulla. Perché alla fine, al momento di guardarsi indietro per scorgere in una sola occhiata le nostre vite, sarà l’unico tempo che avranno davvero avuto: il tempo del gioco spontaneo e senza regole, dell’esplorazione di un bosco, di una corsa sulla spiaggia lontano dai nostri occhi, dell’amore e delle carezze. Sarà così non solo per loro, ma anche per noi. I momenti belli che ricorderemo saranno quei momenti magici dove c’eravamo solo noi e loro senza nulla da fare, con un gioco inventato solo per ridere, in cui ci siamo dedicati davvero interamente solo a loro, non organizzando le loro vite per non fargli mancare nulla, ma semplicemente, essendoci davvero, fermandosi a riprendere fiato con loro.
Nel frattempo le nostre strade si stanno riempiendo di bambini di tutti i colori, molti di questi bambini vengono da famiglie più povere delle nostre, le loro giornate e le loro vite somigliano a quelle dei bambini che eravamo negli anni Settanta e anche i loro genitori fanno spesso lavori che facevano allora i nostri padri emigrati dal sud o provenienti dalle campagne.
Ne incrocio due, uno guida una vecchia bicicletta Graziella contromano, il fratellino in piedi sul portapacchi posteriore tiene una mano sulla spalla del fratello per stare in equilibrio e un vecchio pallone nell’altra. Hanno un grande sorriso, sua madre deve avergli appena urlato, nel dialetto di un altro mondo, di tornare in tempo per cena se non vogliono prenderle.
Quei due bambini non sanno niente di danza e di pianoforte, ma sanno scavalcare un cancello senza paura per recuperare un pallone e forse si inventano delle storie quando si annoiano e se le raccontano nella loro casa ancora senza televisore. Non hanno lo smartphone e siedono a fianco dei nostri figlia scuola. quei due bambini sono davvero più poveri di loro? E siamo proprio sicuri che il nuovo Stefano Bollani o la nuova Carla Fracci saranno i nostri figli con tutte le loro lezioni e non loro, che magari suonano solo sul piano della vicina gentile o della scuola e ballano di fronte allo specchio semplicemente per gioco? No, non possiamo esserne sicuri, altrimenti io non arei qui a scrivere libri e questo libro, e non esisterebbero scienziati e premi Nobel venuti da famiglie come le loro.
Senz’altro sono i bambini più protetti, monitorati, impegnati della storia dell’umanità. Spesso non sanno legarsi le scarpe, o sopportare un insulto senza sbroccare, se perdono un pallone vanno a chiamare mamma, se in un libro per loro c’è una brutta parola guai, alcuni eseguono Chopin al pianoforte già a nove anni. Non hanno tempo da perdere. Sono bambini fortunati. Sono bambini fortunati? Non so dirlo, di certo so che noi adulti dovremmo frenare e darci una regolata lasciandoli più liberi di annoiarsi e perdere tempo.