GRAZIE SINDACO

igrandiveneti
Viviamo in uno strano mondo e sulla vicenda del sindaco di Venezia censore di libri per bambini e ragazzi accusati di minacciare la “famiglia tradizionale” è già stato detto tutto il possibile: disgusto per tanta ignoranza, appelli, allarmi sulla rediviva censura di stampo fascista, e così via. Con più o meno enfasi, tutte cose giuste. Ne manca una, un po’ controcorrente, da dire, ed è un grazie a questo sindaco bigotto, un grazie di cuore. Siccome non l’ha detto nessuno, lo farò io.
Grazie sindaco, perché il nostro lavoro, quello di raccontare storie ai ragazzi e all’infanzia, è un lavoro ingrato. Lo è tanto più in un Paese dove si legge poco, si vende poco e di quel poco tanta è paccottiglia e spupazzamento. È un lavoro ingrato tanto di più in un Paese in cui se si scrive pensando ai ragazzi o ai bambini si è considerati scrittori di serie B da tutti, a iniziare dai media e dai critici letterari.
Chi, come me, e come tanti colleghi, si sforza di non cedere al richiamo dalla platea dei soliti che urlano “Facce ride’!” e cerca di raccontare storie importanti, di non cedere alla vertigine del marketing, dei maialini, dei vampiri o delle mode del momento. Chi, insomma, cerca di raccontare le proprie storie con onestà e convinzione, storie per pochi, mi creda, spesso viene colto da un dubbio. Il dubbio di essere un’inutile goccia nell’oceano, e insieme a tanti colleghi un’innocua pioggerillina in un mondo come questo, dove tutto va velocissimo, dove grandi fenomeni di massa, films e videogames incidono profondamente sull’immaginario collettivo dei più giovani e su la loro visione del mondo. Insomma, per fare questo mestiere, per resistere, occorre serbare la patetica illusione che le nostre storie, anche se qualche volta incontrano poche migliaia di ragazzi, possano fare la differenza almeno per qualcuno, essere importanti almeno per qualcuno. La speranza che valga la pena farlo per continuare a resistere senza cedere alle sirene dell’appiattimento culturale. Del resto, le confesso che non saprei fare altrimenti: ognuno è ciò che è e fa ciò che fa, e dice quel che deve dire.
Per questo motivo volevo ringraziarla, perché lei ci ha ricordato, e l’ha ricordato ai cittadini italiani, che i libri sono “pericolosi” e sono importanti, possono fare la differenza e che quindi anche il nostro lavoro è importante.
Dietro l’indignazione di tanti colleghi censurati ho visto trasparire anche un sorriso stupito e taciuto: “Come?” diceva quel sorriso. “Censurato/a nel 2015? Ma allora le mie storie danno fastidio! Allora cavolo esisto! E lo dicevo io che valeva la pena liberarle!”
E poi grazie anche perché chissà quanti leggendo la sua lista sono andati a comperare quei libri!
Sì, grazie, perché i libri sono creature imprevedibili, non ha torto dunque a pensare, tentare, di metterli in gabbia. Il libro nella testa di molti conserva almeno questo, siccome è considerato strumento per comunicare il sapere, anche chi lascia i propri figli in balia di social network, tv, parolacce, improperi e soft-porno dilagante, quando trova una parolaccia in un libro per ragazzi è pronto a riscoprire il proprio moralismo e ad indignarsi. Con i libri non si scherza, il bambino, il ragazzo, legge e l’effetto è immediato. Se il libro parla di bulimia diventerà bulimico, se parla di Resistenza: comunista, se di gay: omosessuale! La teoria del messaggio colpo di pistola.
Per fortuna non è così, si rassereni, è impossibile capire qual è l’effetto di un libro perché le storie non servono a nulla e servono a tutto, sono, appunto, come ha ben scritto Patrick Ness, “creature selvagge” che non si possono ingabbiare, ma vanno liberate.
Infine mi è dispiaciuto non essere nella sua lista. “Non sono abbastanza importante, abbastanza letto, che non sia abbastanza sincero? mi sono chiesto. Su, per favore, legga meglio, vedrà che se il suo acuto consulente si impegna qualcosa troverà anche nei miei libri, le sarei veramente ancora più grato. Insomma, per parafrasare una celebre poesia di un certo Bertold Brecht, io glielo chiedo per favore, questo torto non me lo faccia: MI BRUCI!