CARLO, ovvero, la breve storia di un uomo che rideva troppo

A proposito del riso, un vecchio racconto di formazione che stasera mi piace pubblicare, e, purtroppo, una storia vera.

Carlo non so quanto valeva, probabilmente poco, una cosa è certa, la gente che lo faceva bere non valeva molto di più. Il fatto è che aveva una risata irresistibile, e più beveva più rideva. Sì, a pensarci oggi era solo un povero scemo che non faceva male a nessuno e che forse sarebbe ancora vivo se solo avesse riso di meno.
Gli altri erano tutte brave persone, la domenica potevi trovarli a bestemmiare di fronte alla chiesa in attesa dell’inizio della funzione; il resto della settimana lavoravano tutti ai campi o alle fabbriche e alla sera bevevano e giocavano a carte nell’unico bar del paese. Fra il fumo delle sigarette e le discussioni sulla partita crescevano quelle facce da dinosauri scolpite dalla noia e dalla fatica. Difficile che qualcuno ridesse, il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi e lì ognuno era impegnato a far la parte dell’uomo serio che sa il fatto suo, che ha il diritto di parlare quanto gli altri, perché anche lui conosce la vita e sa come vanno le cose: se si è troppo gentili, se si proferisce un sorriso di troppo, allora tutti capiscono che non vali niente, che di te ci si può prendere gioco e nessuno ti prende più sul serio.
Fra quell’ammasso d’uomini arrivava Carlo, col suo passo sciancato da ballerino zoppo e con la sua bocca grande pronta ad esplodere come una mina alla prima avvisaglia. Gli occhi straboccanti e scuri, già lucidi per il vino della sera e i capelli neri come quelli di un gitano o di un torero, col suo corpo secco e nervoso, avanzava dentro al bar salutando entusiasta chiunque incontrasse e proferendo il suo sorriso da fanciullo.
Nella sua mente semplice bastava un niente, una parola strana o un discorso canticchiato per far sì che scattasse il meccanismo che faceva scaturire la sua risata.
Una risata come non ne ho più udite, fragorosa e sonora, che sembrava procedere a singulti e udendola da lontano faceva pensare da prima ad una grande allegria e da ultimo al latrare rantolante di un animale ferito a morte che cerchi di far giungere fino al cielo la sua disperazione. Gli occhi gli si riempivano di lacrime e la bocca sgranata faceva emergere i suoi denti gialli che si spalancavano a tagliola intorno al buio della sua ugola rivolta verso il cielo. Gli astanti allora, superato il primo sconcerto, si divertivano a suscitarne ancora e Carlo nel vederli gioire si impegnava ancora di più in quelle sue risate travolgenti. Perché dio insieme alla stoltezza avesse dato un solo uomo tutto quel ridere, non ci è dato di discutere.
Come dei monelli annoiati che spavaldi si divertono a torturare un rospo intimoriti essi stessi dagli improvvisi disperati balzi di difesa rafforzati dalla sua agonia, così quei bravi padri di famiglia, sapendo Carlo privo d’ogni mezzo, si divertivano a pagargli da bere per sentirlo ridere di più. E nel riempirgli il bicchiere partecipavano insieme a quell’omicidio collettivo scaricando sul povero scemo tutta la loro rabbia e frustrazione. Tanto Carlo non contava, lui sorrideva e ringraziava, e se non si pensava da sé a difendersi in un mondo come questo chi volete che ci pensasse per lui. Tanto più che la colpa era di tutti e quindi di nessuno perché tutti avevano sorriso almeno una volta nel sentirlo ridere e se qualche volta una madre di passaggio aveva osato rimproverare quegli uomini adulti e compatire quel poveretto, l’aveva certo odiata più Carlo degli altri perché mormorando scuse o dicendo è lui che vuol bere, tutti si erano dileguati e l’avevano lasciato solo e a bocca asciutta.
Accadde una sera d’inverno, era nevicato e la luna aveva ghiacciato la strada, non so se fu la noia più fitta o la rabbia per il freddo e per le colture andate in malora. So solo che insieme, senza neanche troppo sforzo, mentre gli mescevano da bere e lo spronavano a ridere confondendolo con discorsi di donne, lo convinsero che in un paese poco lontano c’era una gara quella sera dove chi rideva più forte vinceva un sacco di soldi e forse anche l’amore di una donna.
Carlo partì con un vecchio motorino che non usava quasi mai, gli uomini ridacchiando lo salutarono sotto la neve, qualcuno più anziano gli disse di non andare, che era tutto uno scherzo ed era pericoloso, ma Carlo non volle credergli, partì e gli altri ridendo della loro beffa rientrarono al caldo per un’altra birra e una partita a carte. Qualcuno rise ancora del loro bel raggiro quella sera intorno al biliardo. Poi la mattina dopo lo trovarono morto: il motorino era scivolato giù per un burrone ad una curva, Carlo si era schiantato contro un salice lungo la scarpata.
Nessuno commentò la notizia, al bar fu come se non fosse mai successo niente, che la colpa in questi casi è sempre del destino, e da quel giorno non ebbero più i suoi sorrisi e la sua risata ad aiutarli a morire.

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