A PROPOSITO DI BUONI E CATTIVI E DI RACCONTI TROPPO… : LA LEZIONE DI STEVENSON

tumblr_mw2q8nxcQ31t13itio1_400-1

Non so voi, ma io ne ho incontrate tante nella vita di persone stupende che improvvisamente si sono rivelate piene di odiosi difetti: egoiste, avide, approfittatrici o attente solo a se stesse. I soldi di solito sono un’ottima cartina di tornasole. Eppure hanno continuato ad essere persone stupende, da prendere conoscendone i limiti, perdonandole, appunto.
Fare lo scrittore, mettersi nei panni dell’altro, significa anche, sempre, inevitabilmente, assumersi un rischio, penetrare nella vertigine che ci dà raccontare il male, l’altro da noi, che inevitabilmente, in quanto tutti essere uomini, siamo noi. Occorre allora raccontare attingendo inevitabilmente al piccolo razzista che è in noi, al piccolo nazista, omofobo, misogino o intollerante che è in noi, all’alveo delle nostre piccole contraddizioni e debolezze amplificandole. Significa non fare sconti, non cedere ad ipocrisie, ma andare fino in fondo, cercare di capire chi siamo, come siamo e, terribile, come avremmo potuto essere in determinate, meno fortunate, circostanze storiche e famigliari o, dio ce ne scampi, potremmo diventare non appena ci mancasse un po’ di cibo. Non credo ai buoni e ai cattivi, sebbene esistano cattivi assoluti, quest’ultimi non servono granché nei romanzi. Lo scrittore “buono” che racconta il cattivo assoluto e stereotipato, dichiara tacitamente: non sono mai stato bullo, ingiusto, prevaricatore, non ho mai pensieri politicamente scorretti. Che infanzia ha vissuto costui? Con quale maschera va in giro a fare il santo profeta? Come può conoscere e raccontare la verità? Il più delle volte risulta falso come una patacca. Eppure, ogni volta che si osa, che ci si spinge più avanti nel tentativo di capire, c’è qualcuno che storce la bocca. Come se il male andasse raccontato sempre da lontano, come altro da noi puri, buoni, coerenti. Adoro, invece, assumermi il rischio di oltrepassare, di andare a vedere cosa c’è oltre la linea d’ombra e farci andare il lettore. Adoro la lezione di Stevenson, del suo Silver del quale non si capisce mai se sia affezionato veramente al bambino, un padre putativo come Stevenson stesso, o solo un opportunista che mira al suo tesoro. Stevenson lo fa fuggire con una parte del tesoro. È come se ci dicesse: Long John Silver sono io, argento, non oro, non sono perfetto, sono dottor Jekyll e mister Hyde come tutti voi, inutile far finta che non sia così. Lasciate che mi salvi perché nella mia salvezza c’è una parte della vostra. Per questo nei miei romanzi i cattivi veri (non quelli assoluti che sono lì a rappresentare il male allo stato puro) non sono mai completamente tali, sono sempre anche vittime e non trovano punizioni esemplari e definitive, ma sempre un’altra possibilità. Perché è quella che ciascuno di noi vorrebbe gli fosse data. Perché capendo cosa potremmo essere stati in circostanze diverse o divenire si può trovare la forza di perdonare e il coraggio di seguitare a fare del nostro meglio per essere tutt’altro.